Le temperature rigide ad alta quota. Gli abissi marini dove far riposare le uve, o direttamente le bottiglie. E poi ancora, i cunicoli di un’antica miniera d’argento, e ovviamente il legno di grandi botti o barrique, l’acciaio, l’anfora, le vasche in cemento o il cocciopesto. Le vie per affinare un vino sono infinite. In alcuni casi arrivano dalle tradizioni antiche, e in altri sono vere sperimentazioni.
Non sempre però serve un contenitore speciale, o magiche ambientazioni. Per Peppe Vessicchio, musicista, arrangiatore, direttore d’orchestra, compositore è la musica a poter intervenire sull’affinamento per migliorare il vino. Il suo progetto, ideato in collaborazione con Riccardo Iacobone, ceo di due aziende vitivinicole basate in Abruzzo, Rosarubra e Torri Cantine, si chiama Musiké, consta di quattro etichette: Sesto armonico bianco e Sesto armonico rosso a base di Trebbiano d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo, poi ci sono Riccardo I, blend di Primitivo e Malvasia nera Igt, e Alfalyr, blend di Chardonnay e Malvasia Igt.
Affinamento armonico-naturale
I vini di Vessicchio, istituzione della musica italiana, vengono sottoposti ad un affinamento in musica armonico-naturale, con brani scelti e composti dal maestro, ormai da anni impegnato in esperimenti che dimostrano quanto la musica influisca positivamente sulla crescita delle piante. Il metodo utilizzato si chiama FREman, e attinge a note specifiche che evolvono i legami e li rendono equilibrati e godibili.
La tecnica di “armonizzazione“ del vino, promossa e attuata dal maestro, ha già contribuito all’affermazione di alcune monovarietà come Barbera, Asprinio, Negroamaro e Grecanico. Si tratta di una sperimentazione agro-musicale che dimostra i benefici apportati ai prodotti naturali, attraverso le frequenze della musica cosiddetta “armonico-naturale”.
Le note inducono il vino alla cosiddetta catalisi ristrutturativa: il vino cerca all’interno di sé stesso le condizioni di equilibrio di legami. Non che il vino cambi nella sua composizione, ma è nel suo gusto che si riscontrerebbero miglioramenti tali da renderne straordinaria persino la longevità.
Al progetto è connesso un aspetto culturale e sociale, perché contribuisce a sostenere un’orchestra giovanile e musicisti di talento che non possono permettersi gli studi.
La musica nel panorama vitivinicolo italiano
Ma di esperimenti musicali, il panorama vitivinicolo italiano ed europeo è puntellato ormai da anni, tanto da essere praticamente impossibile annoverarli tutte.
Tra alcuni esempi, c’è Christoph Ruck, responsabile della cantina del ristorante Römmerts Weinwelt di Volkach, in Baviera, che ha dimostrato le diversità di 900 bottiglie di Müller-Thurgau. Lasciate riposare in recipienti di cemento, metà delle quali sottoposte alle sonorità della musica jazz e l’altra metà di musica pop.
E ancora nel 2016 l’azienda Rocche dei Manzoni ha presentato il primo spumante metodo classico affinato con la musica, il Valentino Brut Cuvée Speciale Door 185th. Chardonnay, pinot nero e pinot meunier di 4 annate, 8 anni sui lieviti, ogni notte per 3 ore sotto le note musicali di Ezio Bosso, compositore, pianista, contrabbassista e direttore d’orchestra italiano, scomparso prematuramente nel 2020.
Cambiando continente, in Cile il winemaker Juan Ledesma ha ideato il progetto Terroir Sonoro, finanziato dal Fondo per l’Innovazione Agricola del Paese, con cui la musica entra nelle botti, durante i 6 mesi di affinamento, e risuona per 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con piccoli diffusori inseriti dentro le barriques, ognuna ad una tonalità differente in base alla frequenza vibratoria della stessa barrique.
Tornando in Italia c’è chi la musica l’ha portata direttamente in vigna e ad assorbire le sue influenze sono gli acini di uva. È il caso di Carlo Cignozzi, avvocato, appassionato di musica che nel 2000 ha creato il Paradiso di Frassina, antico podere risalente al Medioevo nella terra del Brunello di Montalcino, dove ha sperimentato gli effetti della musica sulle viti, accompagnando la crescita delle uve con la musica di Mozart. Il progetto è sostenuto da una ricerca scientifica eseguita dalle università di Firenze, Pisa ed Arezzo, ed è valso la definizione dei filari come delle Vigne di Mozart.