Il nome Bolgheri evoca la poesia di carducciana memoria mentre passiamo lentamente sotto i secolari cipressi, liricamente imprigionati, eterni, nelle più famose pagine della letteratura italiana.
“Quello che cercai mattina e sera, tanti e tanti anni in vano, è forse qui, sotto questi cipressi”, scriveva il poeta Carducci (in sua memoria il territorio comunale Castagneto Marittimo, di cui una delle frazioni è proprio Bolgheri, venne rinominato Castagneto Carducci. Siamo in provincia di Livorno, in Toscana). Chissà, forse pensava lo stesso il marchese Mario Incisa della Rocchetta quando per amore della contessina Clarice della Gherardesca negli anni Quaranta si trasferì qui, nel cuore della Maremma livornese, al centro della Costa degli Etruschi.
E qualcosa effettivamente trovò, il grande visionario da cui tutto ebbe inizio: la terra adatta per il progetto viticolo del cuore, il Sassicaia. Un vino che, commercializzato nel 1968 dopo anni di accudimento domestico, diventò una leggenda, capace di risollevare le sorti di un settore agricolo in difficoltà e di sbaragliare sorprendentemente il gotha rossista (vinse alla cieca, nel 1978, a Londra, con i migliori Cabernet Sauvignon del mondo, fra cui anche i migliori Chȃteau francesi).
La rivoluzione di Incisa della Rocchetta
Assieme al padre del Rinascimento vinicolo italiano, Giacomo Tachis, Incisa della Rocchetta avviò un’avvincente rivoluzione che fece storia. Gli altri nomi (non solo nobili) che resero famosa questa enclave bordolese accerchiata dal vigneto Sangiovese, vennero dopo, negli anni Ottanta, con Grattamacco (allora di Piermario Meletti Cavallari, dal 2002 di Collemassari, alias Claudio Tipa), Ornellaia (allora in mano a Lodovico Antinori, attualmente alla holding Tenute di Toscana, controllata dalla Marchesi de’ Frescobaldi), Michele Satta, Le Macchiole. Caso a parte quello degli Antinori, con Piero Antinori, che inizia pochi anni dopo il cugino Incisa della Rocchetta con l’allora tenuta Belvedere, ma che poi fu trasformata in Guado al Tasso (attualmente la più estesa, ben 320 ettari). Ecco, Bolgheri è un caso evidente che dimostra come siano gli uomini lungimiranti (e ovviamente le donne, ne abbiamo esempi illuminanti qui) a determinare la crescita di un terroir vocato.
Con il prezzo medio a bottiglia a scaffale più alto in Italia e nei mercati del mondo di tutte le denominazioni italiane, Bolgheri è una delle gemme più preziose dell’enologia toscana, italiana e mondiale, apprezzata da critica, mercato e desiderata dai collezionisti.
Il territorio
L’area di produzione è situata lungo le spiagge della costa toscana, in provincia di Livorno, nel comune di Castagneto Carducci (che comprende la frazione di Bolgheri, dove hanno sede la gran parte delle aziende vinicole). Ad est una catena di colline corre parallela alla costa, tra Bolgheri e Castagneto, e protegge i vigneti dai venti invernali.
In estate, invece, questo corridoio è percorso da venti rinfrescanti che si generano tra le valli del fiume Cecina a nord e del torrente Cornia a sud. Siamo a una manciata di chilometri dal Mar Tirreno, con il suo influsso benefico e il soffio salutare del Maestrale.
Il microclima di Bolgheri gode di una forte radianza luminosa: a quella diretta del sole, si aggiunge anche quella riflessa dallo specchio marino. La luce di Bolgheri è proverbiale, assoluta, intensa: anche quella del tardo pomeriggio, che, riverberata dal Tirreno, sprizza lucentezza su questa natura ancora incontaminata. Un paesaggio abbacinante, punteggiato di boschi, di macchia mediterranea, olivi, viti, che le pennellate dei Macchiaioli (uno dei principali interpreti, il pittore Giovanni Fattori è infatti livornese) hanno immortalato nei secoli scorsi, rimasto sostanzialmente immutato fino ai giorni nostri (qui ha sede la prima riserva italiana del WWF, un’oasi voluta da Mario Incisa della Rocchetta, che fu il primo presidente italiano della più importante organizzazione mondiale di protezione ambientale).