
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha compiuto significativi passi avanti per comprendere la percezione del vino da parte dei consumatori, esplorando anche le proprietà sensoriali meno conosciute, come il kokumi. Questo termine, originario del Giappone, descrive composti che, pur non avendo un sapore proprio, amplificano e arricchiscono i gusti esistenti, donando maggiore persistenza e complessità. Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach, ha condiviso i risultati di una ricerca innovativa sull’effetto kokumi nei vini bianchi, in particolare nel Trentodoc.
I composti kokumi: come influenzano il gusto
I composti kokumi agiscono come amplificatori di sapore. Pur non avendo un gusto specifico, questi composti interagiscono con i recettori gustativi, intensificando le sensazioni già presenti. Mattivi spiega che in Giappone, da tempo, si utilizzano per arricchire cibi come zuppe e brodi, rendendoli più corposi e persistenti. Lo stesso principio si applica al vino, dove l’effetto kokumi può spiegare perché vini con composizioni chimiche simili risultino percepiti in maniera diversa. Un esempio noto è il Parmigiano Reggiano: la stagionatura favorisce la liberazione di oligopeptidi che interagiscono con recettori specifici, amplificando il sapore e creando quella “pienezza” caratteristica.
Una ricerca innovativa sul Trentodoc
La ricerca condotta da Mattivi ha analizzato i vini spumanti Trentodoc, partendo dall’ipotesi che la fermentazione prolungata e l’affinamento sui lieviti potessero portare alla formazione naturale di composti kokumi. Utilizzando la modellistica molecolare all’Università di Parma, il team ha identificato circa cinquanta composti kokumi, di cui undici particolarmente attivi. Questo risultato conferma che la fermentazione e la maturazione sui lieviti non solo arricchiscono il profilo aromatico, ma generano anche composti che intensificano la complessità gustativa.
Implicazioni per il futuro della produzione vinicola
I test sensoriali, svolti in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II, hanno dimostrato che almeno uno di questi composti è percepibile dai degustatori anche in concentrazioni naturalmente presenti nei vini. Ciò evidenzia che l’effetto kokumi è reale e contribuisce alla complessità del vino. Tuttavia, Mattivi sottolinea l’importanza di mantenere il vino un prodotto naturale, senza l’aggiunta di composti sintetici. La conoscenza dei processi che influenzano la formazione di queste sostanze può, tuttavia, aiutare i produttori a ottimizzare le pratiche enologiche per esaltare le proprietà organolettiche dei vini.
Le sfide future includono la creazione di un vocabolario che permetta di descrivere e valutare l’effetto kokumi nei vini. L’obiettivo è ampliare la comprensione sensoriale del vino, valorizzando non solo il sapore umami ma anche altre sensazioni come l’acidità e l’amaro. Questi progressi promettono di offrire strumenti preziosi per una produzione vinicola sempre più attenta alla qualità sensoriale e alla naturalezza dei prodotti.