C’è un angolo d’Italia dove il tempo sembra scorrere diversamente, dove storia, tradizione e natura si fondono in perfetta armonia. Quel luogo è Montalcino, una cittadina medievale incastonata tra le dolci colline toscane, che da secoli custodisce un segreto ormai noto agli amanti del vino di tutto il mondo: il Brunello di Montalcino.
La prima volta che ho assaggiato un Brunello, ho provato la stessa sensazione che si ha quando incontri una persona con cui sai che avrai una lunga e intensa conversazione. Quel rosso rubino che tendeva al granato mi ha fatto subito capire di avere a che fare con qualcosa di speciale. C’era profondità, c’era calore. Gli aromi? Sottobosco, pepe nero, liquirizia… profumi che si intrecciano come pensieri, uno dietro l’altro, e cerchi di seguirli, di decifrarli.
E poi il sapore. Secco, caldo, ma morbido, con quella consistenza che riempie la bocca e ti invita a fermarti un attimo, con una sapidità che ti resta, come un ricordo che non vuole andare via e che ti accompagna anche dopo l’ultimo sorso.
Un amico sommelier una volta mi ha detto che il Brunello è come un libro da leggere con calma, uno di quelli che devi scoprire poco a poco. Non è un vino da stappare distrattamente mentre parli d’altro. No, il Brunello merita silenzio e attenzione. Merita che tu sia lì, presente, perché ha una storia da raccontare.
La storia del Brunello di Montalcino
Era il 1869 quando Clemente Santi, figura pionieristica nella storia di Montalcino, ottenne i primi riconoscimenti internazionali per il suo Brunello, nome che scelse per il vigneto piantato con un clone selezionato di Sangiovese. Non poteva immaginare che la sua intuizione di vinificare quelle uve in purezza, con l’obiettivo di creare un vino destinato a un lungo invecchiamento, avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia della viticoltura italiana.
In questa terra di rara bellezza, le due colonne portanti del Sangiovese – acidità e tannino – sorreggono la struttura di un vino capace di sfidare il tempo, come dimostrano le bottiglie conservate dal 1988, anno in cui fu prodotta la prima bottiglia con etichetta Biondi Santi. Fu il nipote di Clemente, Ferruccio, a dare vita a questo nuovo capitolo, unendo i cognomi del padre Jacopo Biondi e della madre Caterina Santi.
Questo fu solo l’inizio di un’ascesa inarrestabile, che portò il Brunello a ottenere la DOC nel 1966 e la DOCG nel 1980. Da allora, il Brunello di Montalcino è divenuto una delle etichette più ambite e rispettate al mondo, simbolo di qualità e autenticità.
Un territorio unico, un vino irripetibile
Montalcino è un luogo dove i filari di viti si distendono con eleganza, in perfetta sintonia con il paesaggio, dove sembra che il tempo stesso rallenti. La vocazione di questo territorio a produrre vini di eccellenza è radicata in oltre duemila anni di storia, come testimoniano i numerosi reperti archeologici di epoca etrusca che attestano la tradizione vinicola della zona. Qui le uve crescono in un clima ideale, tra brezze miti e suoli generosi, dando vita a un vino che conquista non solo per la sua complessità, ma anche per la sua straordinaria capacità di evolversi nel tempo.
L’aspetto che più mi colpisce di questo vino è che ogni volta che versi un calice di Brunello c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, un aroma nascosto, una sensazione diversa. È un vino per chi sa apprezzare la bellezza che si svela, anche in un calice giovane, sapendo che può ancora evolvere per molte primavere.
Per questo, ogni anno si celebra l’evento “Benvenuto Brunello“, organizzato dal Consorzio di tutela, per presentare la nuova annata che, dopo cinque anni di affinamento, è finalmente pronta per essere messa in commercio. È come aspettare con trepidazione l’uscita dell’ultimo libro di una saga.
Direi che in un mondo che va sempre più veloce, il Brunello ci insegna a rallentare, a celebrare la cosa più preziosa che abbiamo: il tempo.