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Home » Le viti a piede franco tra storia, resistenza e sostenibilità

Le viti a piede franco tra storia, resistenza e sostenibilità

Maestose viti ultracentenarie, alte anche tre metri, si inerpicano, si intrecciano e fanno crescere forti e rigogliose uve, capaci di resistere al parassita più temuto dai viticoltori.
  • Marcella Pace
  • Mer 22/01/2025
foto con signora anziana

Viti a piede franco: un patrimonio unico del panorama viticolo italiano

Le viti a piede franco sanno creare immagini suggestive che qui e là puntellano il quadro viticolo italiano. Dalla seconda metà dell’800 il diffondersi rapido in Europa della fillossera, parassita originario del Nordamerica oggi in tutti i paesi viticoli del mondo, ha provocato la morte di quasi l’80 per cento delle varietà europee attaccate.

L’attacco della fillossera e la soluzione dell’innesto

innesto vite europea su vite a piede franco

Per salvare la viticoltura dal rischio estinzione, si è cominciato a innestare la vite europea, nella parte superiore, con quella americana in quella inferiore, resistente all’attacco della fillossera, almeno nella parte radicale.

Sebbene in Italia la fillossera abbia trovato terreno fertile per attaccare le viti, alcuni impedimenti naturali in determinate condizioni ne hanno reso difficile la missione. A rendere più debole il parassita, infatti, ci sono le altitudini dei vigneti, specie per quote di oltre mille metri sul livello del mare, che producono sbalzi termici notevoli che rendono difficile la sopravvivenza all’insetto.

Un secondo fattore che ha spesso protetto le piante dall’attacco del parassita sono i terreni sabbiosi,  argillosi o vulcanici, che impediscono alla fillossera di potersi muovere con facilità; in ultimo i ristagni d’acqua notevoli per periodi medio – lunghi, visto che la fillossera non sopravvive in acqua. Ecco che, alcune regioni italiane, che vedono predominante una delle tre condizioni, hanno visto sopravvivere alcuni ceppi rendendo possibile ancora oggi la conservazione di vigneti di vite a piede franco, vale a dire pre fillossera, dove piede si riferisce alle radici della vite, mentre con il termine franco s’intende qualcosa di libero da vincoli, e quindi una vite non ibrida, con radici proprie. Esemplari di viti a piede franco sono ancora oggi in Val d’Aosta o sull’Etna dove le altezze sono significative, oppure in Sardegna, Sicilia o Campania, con i terreni sabbiosi e vulcanici.

Feudi di San Gregorio e i Patriarchi: la storia delle viti centenarie

vite a piede franco

In Campania, nella zona dell’Irpinia, le viti a piede franco sono vive e raccontano giorno dopo giorno una storia vinicola longeva. “Il nostro territorio ha una storica presenza della vite, ed è stato solo parzialmente colpito dalla fillossera, per due motivi –  spiega Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio, cantina fondata nel 1986 a Sorbo Serpico, nella provincia di Avellino con 300 ettari vitati di proprietà, più 200 dei conferitori – . Il primo sono i suoli sabbiosi di origine vulcanica che rendevano complesso il movimento dell’animale. Il secondo aspetto è legato al fatto che il territorio è sempre stato molto frammentato come proprietà e quindi spesso la vite si alternava a tante altre coltivazioni, che in qualche modo sbarravano la strada al parassita”.

Quando Feudi di San Gregorio ha cominciato la sua avventura vinicola, diversi contadini del territorio avevano tra le mani viti anche di due secoli. “Il racconto dei contadini aveva lasciato i nostri agronomi abbastanza scettici – continua Capaldo –  ma poi facendo delle ricerche insieme alla scuola enologica De Sanctis, che è il primo istituto di viticoltura ed enologia d’Italia, si è scoperto che molte di quelle vigne erano coltivate a vite dalla fine dell’800”.

Il vigneto “Dal Re” e il progetto per la salvaguardia dell’aglianico a piede franco

vite a piede franco in autunno

Con questo scrigno naturale tra le mani, che Feudi di San Gregorio chiama “I Patriarchi”, la cantina comincia a studiare e lavorare la vite, partendo in particolare dal vigneto “Dal Re”, con 400 piante di aglianico a piede franco a Taurasi, alte tre metri, vendemmiate con le scale per arrivare ai grappoli più su, da cui viene fuori Serpico, un vino dalla tiratura limitata. “Quel vigneto, come altri, veniva allevato da piccoli agricoltori per coltivare uva e basta. Si coltivava in alto per continuare a terra a lavorare anche altro, come le patate o i pomodori. Nel tempo queste viti hanno trovato una loro evoluzione. Ogni pianta è diversa da sé stessa. Le foglie, le caratteristiche del grappolo. Abbiamo riscontrato più di 100 biotipi differenti”.

La biodiversità delle viti a piede franco: un tesoro da preservare

vite a piede franco

Dal 1999 fino al 2010, Feudi di San Gregorio in collaborazione con il professor Attilio Scienza, dell’università di Milano e del professor Luigi Moio dell’università di Napoli, hanno avviato uno studio, piantando i biotipi scoperti nel vigneto “Dal Re” in microvigneti. “Abbiamo analizzato quelli più interessanti. Ne abbiamo scelti una ventina, che abbiamo piantato ovunque. Oggi lavoriamo solo con cloni a piede franco, senza portainnesto. Ci stiamo accorgendo che, rispetto alle viti con innesto americano, hanno una reazione completamente diversa anche di fronte a fenomeni di eccessiva siccità o di stress idrico. Una reazione che stiamo studiando tuttora”.

Lavorare sulle vigne “vecchie”, sopravvissute alla fillossera e dunque centenarie, è una vera missione per l’azienda irpina, nel segno della preservazione del territorio stesso. “Se ogni 15-20 anni si piantano nuove viti, come accade spesso, si impoverisce tantissimo il suolo, perché nei primi anni la vite estrae moltissimo e restituisce molto poco – prosegue Capaldo -. Lavorare sulle vigne vecchie non è solo una questione di ‘pulito e giusto’, ma di mantenere la biodiversità e di preservare le forme di allevamento dei cloni storici. Quando si vive questo tipo di viticoltura, bisogna accettare che la pianta ha una esperienza di sé stessa, si autoregola e non si sottopone a stress inutili e quindi in alcune annate può non produrre nulla. Ci aspettiamo da questo vigneto, un vino importante”.

Le viti centenarie e la sfida del cambiamento climatico: il futuro della viticoltura

vite

E poi c’è l’aspetto della valorizzazione di un patrimonio storico, che rappresenta il futuro della viticoltura stessa. “Le forme di allevamento a pergola come quelle del vigneto ‘Dal Re’, oggi stanno diventando sempre più preziose con il riscaldamento globale, per proteggere l’uva – afferma il presidente -. Capita sempre più spesso che si stanno convertendo allevamenti a guyot su forme corrette, più alte, per proteggere la pianta dall’umidità e dal sole. In Irpinia abbiamo la grande fortuna di avere un patrimonio di agricoltori che hanno preservato nel tempo le viti centenarie e ci insegnano come continuare a farlo nel tempo”.

Leggi anche: Nella terra del Barbaresco alla scoperta degli Ice Wine

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